La grandezza non nasce mai da sola, ma è spesso accompagnata da cose più piccole, nelle quali tutto è chiarito e spiegato, ed è al singolo risultato finale che questa moltitudine appartiene.

Questo è stato abbastanza ignorato in precedenza come meramente funzionale, in modo da rendere solamente l’opera finale come esperienza unica. Una nuova estetica allargata aveva dato a quello che potrebbe essere uno schizzo indicativo e preliminare tutta la dedizione che richiede un lavoro indipendente, così come la serietà del lavoro, che accorda massima finalità a ogni opera.

 

L’accompagnamento delle piccole cose è un percorso alla pari, e queste sono lì per sé stesse e per essere apprezzate come tutto il resto.

Piccole, ma nel loro piccolo tracciato generosamente, si avvicinano solo superficialmente a ciò che, con una diversa disposizione si potrebbe attribuire a un maestro del piccolo formato (del ‘600), considerando dettaglio, profondità e intensità.

I loro messaggi sono invece leggibili come le immagini, con una visione ampia e completa; anche il disegno qui è un atto prevalentemente pittorico o scultoreo, lasciando piuttosto alla grafica il ruolo di ospite.

Corrispondenze: l’immagine messa sul piano corrisponde al foglio che è disegnato e dipinto, mentre l’espansione dello spazio corrisponde al libro, che si sfoglia avanti e indietro, così come si potrebbe attraversare l’installazione pittorica su percorsi alternativi. E nella loro abbondanza e nella diversità dei loro rapporti reciproci, fogli e libri si riuniscono per formare biblioteche, la diffusione corrisponde alla condensazione, i messaggi si sommano.

Presentati in serie, i singoli fogli, che sono in relazione tra loro, si rivelano anch’essi un corpus nello stesso formato e nel comune metodo di lavoro. Ciò che nelle grandi realizzazioni rimarrebbe isolato o, per via di una assegnazione spaziale, diverrebbe un insieme temporaneo nello spazio espositivo. I lavori su piccola scala, con la loro ripetizione simile al ritmo del respiro nei gesti creativi, tendono ad essere ciclici.

Al posto del grande sguardo, che contemporaneamente coglie il tutto, guardando avanti, ecco, qui è sostituito dallo sguardo errante del lettore. L’osservatore è immobilizzato, solo i suoi occhi si muovono ancora, anche lui deve raccogliersi.

Le opere su carta di Susanne Kessler – quelle pure, perché la carta è spesso inclusa anche nei suoi grandi quadri e nelle sue installazioni – nascono da un impulso pittorico e che aspira alla tridimensionalità. Sono potenti e fortemente fisiche, sia nella forma che nell’impostazione della propria traccia. Il tratto è più pittorico che grafico, utilizzando soprattutto il pennello, creando spazio nel quale posiziona le forme sulla superficie aperta e un’interrelazione nella profondità, ottenuta dalla stratificazione e dalla sovrapposizione. Sebbene siano piuttosto pesanti, sembrano galleggiare e fluttuare sbilanciate e, se si verifica accidentalmente una disposizione ortogonale, non è quasi mai per via di una rete di riferimento orizzontale-verticale, sia pure invisibile.

Una libertà che si auto-proclama, è spinta organicamente e meccanicamente fuori, in una costante tendenza gestuale al movimento. Ciò può essere dovuto principalmente alla spontaneità nella realizzazione. Dallo sguardo critico all’azione della mano, e dalla traccia dell’atto creativo a partire dalla sua attenta osservazione c’è un breve passo.

La necessità di agire determina la misura del tempo, un margine stretto, una condensazione, i tentativi sono condotti senza il rischio di andare a vuoto, ma diretti a risultati diversi, sempre predeterminati.

Fogli, libri, biblioteche: l’artista lascia soprattutto sfogliare se stessa. La parola, “leggere” in origine è più vicina a scegliere che esplorare. La comprensione si determina e si assume ponderando l’ambiguità. Qui, ora, di fronte alle immagini, l’azione e il suo riflesso nell’origine delle cose si incontrano all’inizio della loro genesi. Una decisione immediata determina la scelta dei materiali e dei mezzi. La stabilità qui, nei singoli fogli, è data solo dal predefinito, dalla carta artigianale solida che dà base alle configurazioni e, tramite la loro chiara, ma non del tutto rigida esclusione dei margini, dà anche uno spazio libero. Accompagnate da singoli tratti in corsivo, di grafite o gesso, granulose e sparse sulla superficie ruvida, le pennellate si estendono riccamente e vigorosamente, non modulando, ma enfatizzando i contorni.

Qui due materiali concertano tra loro: asfalto e inchiostro. L’asfalto nella sua consistenza più dura, a volte fibrosa, e, in un flusso più libero, l’inchiostro, che può diventare trasparente se diluito, traslucido come in una fluoroscopia. Ma anche l’asfalto è posto in modo variegato, dilatandosi in cortili più luminosi che delimitano la forza delle strutture, ma, soprattutto, occupando anche il rovescio del foglio attraversando la carta che, ribaltata in avanti in un ulteriore passaggio di lavoro, provoca un’interazione tra le pagine attraverso la densità del foglio.

Un ulteriore elemento di tensione fisico-spaziale viene messo in gioco ritagliando parti significative da altri fogli di carta disegnati in maniera simile e incollandole all’immagine stessa. Nella maggior parte dei casi, la consistenza liscia della carta da disegno contrasta già con la superficie più ruvida del cartone grezzo di base. Se ha già offerto maggiore resistenza alla linea, anche la penetrazione dell’asfalto avrà una differente densità provenendo dal retro. Quindi, quattro strati aggiunti su un’unica superficie visibile e una diversa consistenza della materia pittorica.

I colori possono rimanere contenuti. Si limitano al contrasto tra la percezione calda e quella fredda del solo colore nero, che si trasforma in un marrone scuro nell’asfalto e in un grigio più chiaro nell’inchiostro. Quindi, sul grigio e sul marrone, le tracce nere della pittura e del disegno prendono il sopravvento sulla distesa bianca del foglio e la luce diffusa della superficie ruvida della carta artigianale può mescolarsi calorosamente con il raggio freddo e riflesso del cartone liscio che la circonda. Un’interazione sottile, in una certa misura qualcosa di organico.

Nella densità bidimensionale e nella scioltezza lineare, in alternanza tra intreccio e diradamento, nell’impeto pulsante delle venature e nel loro peso fisico, che tuttavia fluttua come scagliato in un cosmo bianco, questi elementi essenziali hanno una presenza e un’immediatezza suggestive. In immagini e parabole, essi stessi testimoniano l’impellente forza vitale; e lo sguardo vagante, che si approfondisce sui fogli, si rende conto dell’abisso che gli si potrebbe aprire davanti.

 

Testo di Franz Joseph van der Grinten sul libro “Susanne Kessler – L’Origine delle Cose”, Epikur Gallery, Wuppertal 1994