A prima vista non si direbbe eppure il lavoro di Susanne Kessler e un autentico controcalco della realtà. Non della realtà intesa come tutto organico esistente fuori di noi, ma della realtà esperita come limite, come passività che ci inganna e ci avvelena attraverso 1’abitudine. Il punto e proprio qui la chiave, in questa parola che sembra innocente ed evoca una vita bonaria e una condotta mansueta. Bisogna capire che non e vero, bisogna costruire coi fatti la tesi contraria ricordando che i fatti dell’arte sono tutto ciò che serve per fare, sono insieme tecniche antiche e cose mai viste. Ma che vuol dire allora abitudine e qual’e il veleno che attraverso di essa ci invade e si deposita nelle nostre fibre per paralizzarci nel tempo e col tempo, ogni giorno un po’ di più? L’abitudine e solo un servo sciocco e il suo padrone, il vero assassino sta dappertutto, ovunque vi sia dell’ordine travestito da necessitä. L’ordine o e bellezza o non e niente e la necessitä non ha forma, ma poiché la nostra energia e poca e tendiamo a risparmiarla ecco che 1’ ordine ci appare una realtà superiore e noi gli apriamo tutte le porte, lo lasciamo entrare nella nostra casa e nelle nostre vite non come ospite gradito ma come padrone cui non si pub dire di no.

E’ per questo che Susanne Kessler ama le cose che non funzionano più, le grandi macchine industriali che nel produrre producevano un sogno tumultuoso ma ricco e allo stesso modo non cessa di stupirsi dinnanzi a tutti gli oggetti di scarto ancora uguali alla loro funzione. Queste cose nella loro forma e nel loro muoversi, che poi sono, come sempre dovrebb’essere, una cosa sola, se guardate come vanno guardate, con 1’occhio di un primitivo e la sapienza di un artigiano, rappresentano già un antidoto, il modello inconsapevole, appunto, del controcalco che ci può guarire. Non c’e gesto che sia troppo audace, non c’e colore che sia troppo sporco, non c’e assemblaggio che sia troppo disarmonico se la mano e il pensiero si impongono costantemente di essere forza senza resti. Nella battaglia dell’arte contro 1’a priori ogni nemico ha per scudo la propria debolezza e tutte le tigri sono di carta. Per vincere non c’e da colpire alcun che, basta non mirare al cuore e fare invece luce tutt’intorno, descrivere lo spazio minacciato e scioglierlo cantando a voce alta.

E questo fa la nostra artista, giorno per giorno nel suo grande studio di Roma e in quello in Germania, quasi un flusso continuo di materia e di poesia collegasse i due luoghi al di fuori del tempo e al di la dei chilometri.

Qualcuno ha scritto tempo fa che dopo aver visitato il posto di lavoro di Susanne si sentiva pronto a volare, ma forse non ha detto tutto o non ha pensato fino in fondo i suoi pensieri. Volare e la parola giusta, ma a volare non siamo noi sono le idee concrete fatte di tela e colore, garza, catrame, legno, panno, plastica e metallo e domani chissà che altro Susanne aiuta a nascere e che ormai formano già un altro mondo, un’altra terra e rocce e mari e oceani cui non serve ne un pianeta diverso dal nostro ne alcun altro sito speciale, cui basta come spazio lo spazio che gli cedono nella nostra mente tutte le inerzie e tutta la paura di vivere da loro suscitate, investite e dissolte non per magia ma attraverso un duello tangibile e pieno di vibranti risonanze.

Niente fraintendimenti pero, il controcalco della realtà che la Kessler ci propone non e il paradiso dell’energia ne il libero fiume dell’immaginazione lanciato su un territorio che inevitabilmente dovrà e saprà sempre cedergli il passo, e insieme scavo e accumulo, dentro e fuori, dolore e memoria del piacere vissuta come progetto. Non ci sono scorciatoie per questo modo di lavorare e non si pub andare dove si vuole, ogni opera, come si e detto, ha un precedente nell’esperienza e si capirà che non puo` avere conseguenze, non può chiedere altri riscatti ed altri rischi. Perche e inutile nasconderselo il rischio e’e ed anche qui e sempre lo stesso quello di non dare la vita a cibo che si fa, di cedere all’impulso e al moto dello spartito una nuova abitudine al servizio del nulla, dell’inerzia nel suo senso etimologico.

Questo scritto nasce oggi per accompagnare una mostra che di sicuro sarà bellissima come grande e bello e lo spazio che 1’accoglie, per inaugurate una visione che apparirà all’improvviso a chi e venuto a guardare e si sentirà guardato e si guarderà dentro. Ma io vorrei che non fosse solo cosi, vorrei che le mie parole volassero tra le pareti della galleria scontrandosi con le opere di Susanne e accendendole come farebbe una biglia levigata lanciata dentro un immenso flipper, vorrei che andassero ad acquattarsi e riposarsi tra le pieghe e le nicchie dei materiali e smettessero di appartenermi, vorrei che s’impigliassero tra le pagine dei piccoli libri e degli elenchi appesi col filo alle pareti per rendere 1’omaggio migliore ad un’arte coraggiosa, concreta e persino pesante fiorita perche doveva fiorire in un mondo che si crede scaltro e disincantato solo perche ha imparato a fare il verso alla propria perdita di realtà.

 

Presentazione dell’artista Susanne Kessler alla Galleria de’ Serpenti Roma, 1993